I Verdi hanno un modo speciale di formare le liste dei loro candidati, sia che si tratti di elezioni locali, sia che si tratti di elezioni nazionali o, come domenica scorsa, europee. Per ogni posizione di lista viene proposto un nome e messo ai voti dell’assemblea degli iscritti. La casella viene riempita da chi ha ricevuto più voti. Si procede allo stesso modo con la seconda casella, con l’avvertenza che il candidato da votare dovrà essere di sesso diverso dal primo. Si procede così fino all’ultima posizione di lista, alternando maschi e femmine.
È un meccanismo molto democratico, per evitare che i candidati siano decisi in riunioni di vertice, che però talvolta riserva delle sorprese, proprio perché le votazioni sono vere votazioni e non rituali in cui il risultato è scontato.
Alle elezioni per l’Europarlamento, domenica scorsa, tutti i partiti dovevano presentare una sola lista, perché il collegio era unico. Il segretario dei Verdi, Werner Kogler, aveva proposto come “Spitzenkandidatin” (candidata capolista) Lena Schilling, 23 anni. In quel momento non era iscritta al partito (lo farà qualche settimana dopo), ma era molto nota, quale attivista nelle battaglie per il clima. L’idea di metterla in testa alla lista era venuta proprio per pescare voti tra gli elettori più giovani e, per così dire, più scalmanati. Gli iscritti al partito verde erano giovani e scalmanati al tempo della fondazione, quarant’anni fa; ora sono tutti attempati e hanno perso lo spirito barricadero di un tempo. Nel loro linguaggio si distinguono in “fundi” (fondamentalisti) e “realo” (fondamentalisti che nel tempo sono diventati realisti e di buon senso).
L’inserimento di Lena Schilling sarebbe dovuta essere un’operazione per iniettare una “fundi” in un partito ormai composto prevalentemente da “realo”. Lo ha bene spiegato Kogler all’assemblea, riuscendo a far convergere sulla ragazza il 96,6% dei voti. Subito dopo, però, erano diventati pubblici episodi della vita della candidata, che non la mettevano in buona luce. Ne avevamo riferito in questo blog il 24 maggio.
Che fare? Lo stato maggiore dei Verdi era in fibrillazione, perché le vicende relative a Schilling avrebbero potuto compromettere il risultato elettorale. Ma, non essendo più possibile modificare le candidature, si era deciso di far quadrato attorno alla ragazza, confidando che gli elettori avrebbero dato il voto alla lista, a prescindere dal nome di chi era in testa.
Al voto di domenica i Verdi austriaci si sono dovuti accontentare del 10,7%, perdendo quasi quattro punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni e perdendo soprattutto un seggio nell’Europarlamento. Ora ne avranno due.
L’assegnazione avviene in base alla posizione nella lista (in questo caso ai primi due). Ma qui viene la sorpresa: i voti di preferenza. Di solito non contano nulla. L’ultima volta di cui abbiamo memoria accadde vent’anni fa, con la lista del partito di Haider.
I voti di preferenza, come è noto anche in Italia, ricompongono la lista dei candidati, dando la precedenza a chi ne ha ricevuti di più. Questo vale anche nelle elezioni austriache, ma solo se il loro numero supera il 5% dei voti di lista. È ciò che è accaduto questa volta. Il secondo in lista, Thomas Waitz, 51 anni, coltivatore biologico, già europarlamentare dal 2017, ha ottenuto una dose massiccia di preferenze (a Vienna oltre il 25%), tanto da scavalcare Schilling e risultare lui il primo degli eletti. Di conseguenza a Bruxelles andranno lui e Schilling, ma sarà lui il “capodelegazione”, non la ragazza. Anche se per una delegazione di due sole persone il ruolo di “capo” appare un po’ esagerato.
NELLA FOTO, Thomas Waitz, il più votato dei Verdi, alla festa del partito seguita allo spoglio delle schede. Alle sue spalle, terza da sinistra, Lena Schilling, da lui scavalcata nelle preferenze.
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