Venerdì 11 Ottobre 2024

La ripetuta violazione del diritto internazionale da parte russa, con l’aggressione all’Ucraina – ma già in precedenza con l’occupazione militare della Crimea e con le guerre in Cecenia, Siria, Georgia – ha indotto due Paesi europei tradizionalmente neutrali come la Svezia e la Finlandia a chiedere l’ingresso nella Nato. Sanno entrambi che il rischio è reale e non si può più scherzare. Lo sa in particolare la Finlandia, che per decenni aveva sperimentato una sovranità limitata a causa del vicino sovietico, tanto che il termine “finlandizzazione” durante la guerra fredda era entrato nel linguaggio comune, per definire un Paese che, pur non essendo invaso dai carri armati nemici, era tenuto sotto scacco dal potente vicino e non poteva permettersi una propria autonoma politica estera.

L’Austria è un Paese neutrale, come lo erano fino all’altro ieri Svezia e Finlandia, ma, a differenza delle due, non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo status. Non era così nel 1955, quando, riottenuta la piena sovranità, la neutralità le fu imposta da Mosca, quale condizione per il ritiro delle truppe alleate che la occupavano da 10 anni. Nel tempo, però, quella neutralità è diventata un mito, quasi che da sola potesse garantirle pace perpetua.

Lo è ancor oggi, anche se – come scrivevamo in questo blog il 29 agosto – ormai è niente più che un soprammobile. Ufficialmente tutti i maggiori partiti sono per la neutralità. Lo sono l’Övp (Partito popolare), l’Spö (Partito socialdemocratico), lo sono naturalmente i Verdi. Lo è anche l’Fpö, il partito dell’estrema destra sovranista.

Ma non era stato sempre così. Nel corso degli ultimi anni tutti i partiti menzionati, tranne i Verdi (che in passato avevano addirittura proposto di liquidare l’esercito), avevano di tanto intanto strizzato l’occhio alla Nato, ritenendo che fosse il momento di rinunciare alla neutralità. L’Övp aveva avanzato questa ipotesi ai tempi della segreteria di Wolfgang Schüssel. Tutti ricordano le sue parole. La neutralità – citiamo a memoria, ma quel che conta è il senso – è per l’Austria come i Mozartkugel o i cavalli Lipizzani, fa parte della tradizione ma non avrebbe più significato. Qualcosa del genere aveva detto qualche anno prima anche Josef Cap, autorevole dirigente dei socialdemocratici.

Più interessante è la capriola dell’Fpö, oggi strenuo usbergo della neutralità, mentre in passato si era battuto per la sua rimozione e l’adesione alla Nato. “Le guerre convenzionali in Europa sono di nuovo possibili… e si può dire chiaramente no alla necessità di mantenere la neutralità. L’Austria dovrebbe avviare immediatamente trattative con la Nato, per rendere possibile quanto prima l’adesione”. Le parole tra virgolette erano state pronunciate nel 1994 da Jörg Haider, all’epoca astro nascente dell’estrema destra austriaca. Ma, come gli capitava spesso, più tardi cambiò idea.

In realtà, dopo l’adesione all’Unione Europea, l’Austria partecipa alla Partnership per la pace, ha aperto un ufficio di collegamento al comando dell’alleanza, dal 1990 partecipa ad esercitazioni con le forze armate degli altri Paesi, dal 1999 partecipa anche alla missione in Kosovo sotto comando Nato e gradualmente ha adottato tutte le misure (nel calibro delle munizioni, nei sistemi di collegamento radio, nel rifornimento degli elicotteri, per fare alcuni esempi) necessarie per l’interoperabilità delle proprie unità militari.

In altre parole, come scrivevamo nell’articolo di fine agosto, la neutralità è diventato un soprammobile, ma non si tocca. Le statistiche dicono che la vuole il 70% dei cittadini e nessuno dei partiti oserebbe contraddirli.

NELLA FOTO, il cancelliere austriaco Karl Nehammer (Övp), a sinistra, con il vicecancelliere Werner Kogler (Verdi); alle loro spalle la bandiera della Nato. Vicini all’alleanza atlantica, ma non troppo vicini.

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