Mercoledì sarà una giornata importante in Austria. Il ministro delle Finanze, Magnus Brunner, presenterà al Parlamento il bilancio di previsione per il 2024. È una di quelle sedute in cui si registrano più presenze nelle gallerie riservate al pubblico, solitamente vuote o frequentate soltanto dai visitatori di passaggio nel palazzo.
Ma nello stesso mercoledì nel Tribunale penale di Vienna, che dista poche centinaia di metri dal Parlamento, si terrà la prima udienza del processo a carico dell’ex cancelliere Sebastian Kurz. Il confronto non regge. Nel palazzo di Giustizia tutti i posti riservati al pubblico sono da tempo esauriti. La vicenda penale del giovane “Basti” evidentemente interessa di più dei conti dello Stato. Per seguire il processo si sono accreditati 83 giornalisti, molti anche di testate straniere.
Per Kurz è giunta l’ora della verità. La Procura anticorruzione (Wirtschafts- und Korruptionsstaatsanwaltschaft) lo accusa di aver dichiarato il falso davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta istituita nel 2020, dopo lo scandalo di Ibiza. Kurz, ovviamente, respinge l’accusa e sostiene di essere vittima di una persecuzione da parte dei giudici di sinistra.
Qui occorrono subito due precisazioni. La prima. Le commissioni d’inchiesta parlamentari funzionano come gli organi giudicanti della magistratura ordinaria, anche se non devono occuparsi di materia penale, ma di scelte politiche. I testi convocati dai commissari prima di essere interrogati giurano di dire la verità. Se dicono il falso, commettono un reato di cui poi dovranno rispondere in sede penale. È quel che sta accadendo all’ex cancelliere.
La seconda precisazione. Tre anni fa la commissione era nata per fare luce sulle circostanze per cui Heinz-Christian Strache, allora leader dell’Fpö, partito dell’estrema destra sovranista, si era dichiarato disponibile a procurare appalti pubblici alla presunta nipote di un oligarca russo in cambio di tangenti. Lo aveva fatto senza sapere di essere ripreso da una candid-camera, in una villa di Ibiza. La commissione ha preso il nome dall’isola spagnola.
Nelle indagini seguite alla pubblicazione di quella registrazione, tuttavia, erano emerse altre vicende, che non riguardavano più soltanto Strache, ma l’Övp (il Partito popolare) e in particolare il suo leader e a quel tempo cancelliere Sebastian Kurz. Per questa ragione Kurz era stato citato a testimoniare davanti alla commissione, dovendo rispondere, in particolare, sulle nomine ai vertici delle società controllate dallo Stato, prima fra tutti l’Öbag (Österreichische Beteiligungs Ag), la holding paragonabile a ciò che era da noi l’Iri, alla cui guida era stato designato Thomas Schmid, un suo intimo. In quell’occasione l’ex cancelliere aveva negato di averci messo il becco. Ne sarebbe stato soltanto “informato”, ma non avrebbe interferito in alcun modo nella nomina di Schmid, né degli altri membri del consiglio di sorveglianza.
Nelle 108 pagine della richiesta di rinvio a giudizio la Procura anticorruzione sostiene invece che Kurz avrebbe dichiarato consapevolmente il falso. Come era emerso dalle centinaia di chat scambiate tra lui, Schmid e altri ministri del suo governo, il giovane cancelliere non soltanto sarebbe stato a conoscenza delle nomine, ma avrebbe pilotato personalmente le scelte.
L’aspetto più sorprendente e misterioso del caso riguarda le motivazioni di quel comportamento. Vi sono alcune società strategiche – nel campo energetico, delle comunicazioni, dei trasporti – che lo Stato ha mantenuto sotto il suo controllo e per le quali l’indirizzo politico spetta al governo. Sarebbe stato del tutto normale, quindi, se non addirittura ovvio, che alla commissione d’inchiesta Kurz rispondesse: sì, ho deciso io quelle nomine, perché era una mia prerogativa farlo, anzi era un mio preciso dovere, perché è responsabilità politica di chi governa scegliere i manager delle industrie pubbliche. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Tutti i suoi predecessori si erano comportati allo stesso modo.
Kurz, invece, aveva preferito fingere di non essersene occupato e aveva mentito. Dichiarando il falso era finito sotto inchiesta della Procura anticorruzione e si era giocato la carriera politica. Lui dichiara di essere innocente e di essere stato frainteso. Nel rispondere alle domande della commissione avrebbe usato una doppia negazione, per cui il significato sarebbe stato il contrario di quello che gli era stato attribuito. Insomma, un artificio retorico male interpretato.
Il processo che incomincia mercoledì stabilirà se abbia ragione lui o la Procura anticorruzione. In uno Stato di diritto, per fortuna, la Giustizia funziona così.
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