Domenica 2 Giugno 2024

15.11.24 Profughi in Slovenia diretti al confine austriacoEra impensabile che una decisione come quella dell’Austria di non votare l’accordo dell’Onu sulle migrazioni passasse inosservata. Si sono subito levati i cori dei favorevoli e dei contrari, in Austria, come anche in Italia, dove la notizia è stata riportata da molti giornali. In Austria critiche severe al passo indietro sono state espresse dagli europarlamentari dell’Spö (Partito socialdemocratico), dei Grünen (Verdi) e della Neos (Neues Österreich, movimento conservatore liberale). Hanno definito la scelta governativa “il punto più basso toccato finora dalla politica estera austriaca”. Parole di lode, invece, sono giunte dall’AfD tedesca (Alternative für Deutschland), che ha esortato il governo di Berlino a fare altrettanto.

Quanto all’Unione Europea, si registra per ora soltanto la dichiarazione di una portavoce della Commissione, che “si rammarica della decisione dell’Austria”. La Commissione Ue – ha detto ancora – è in contatto con Vienna “per ricevere informazioni ulteriori sulla decisione presa. Continuiamo a credere che la migrazione sia una sfida globale”.

Ma  quali sono le motivazioni esatte del dietrofront dell’Austria? Le possiamo trovare in una “dichiarazione di voto” scritta, che Vienna ha inviato all’Onu. Nel documento si legge, in apertura, che “l’Austria distingue chiaramente tra migrazione legale e migrazione illegale. Un annacquamento di questa distinzione, come prevede il Global Compact, va respinta”. L’Austria è uno Stato di diritto e rispetta i diritti fondamentali dell’uomo, ma tra questi non considera il diritto a emigrare e si riserva la sovranità di decidere chi può entrare e chi non può entrare nel suo territorio.

Sono 17, in particolare, i punti del patto dell’Onu che il governo austriaco respinge. Ne indichiamo i principali: la facilitazione del cambiamento di stato tra migranti regolari e migranti irregolari; la facilitazione dei ricongiungimenti familiari; la migliorata inclusione nel mondo del lavoro; la creazione di diritti nel campo della sicurezza sociale; la messa a disposizione di un’assistenza di base e di un inserimento scolastico; l’accesso all’istruzione superiore; il riconoscimento di qualifiche professionali formalmente non acquisite; le agevolazioni per creare imprese; l’accesso al sistema sanitario; l’adozione di buone pratiche nell’integrazione; la persecuzione dei crimini razziali; i servizi di informazione sulle possibilità di agire legalmente a favore delle vittime di crimini razziali; il divieto di creare profili criminali basati sulla razza, l’etnia o la religione.

L’aspetto più curioso nella vicenda di cui ci stiamo occupando è che i contenuti del “Global Compact”, di cui abbiamo riportato una sintesi, fino a un paio di mesi fa erano stati elaborati e approvati dagli stessi rappresentanti diplomatici dell’Austria, che partecipavano alle sedute del gruppo di lavoro istituito dall’Onu. Non solo, alla stesura della bozza del “Global Compact” aveva partecipato e dato la sua approvazione lo stesso Sebastian Kurz, che allora era ministro degli Esteri di un governo di “Grosse Koalition”, Spö-Övp. Lo stesso Sebastian Kurz che ora, da cancelliere di un governo di destra Övp-Fpö, rigetta quel “Compact”, di cui non molto tempo fa era stato lui stesso levatore.

L’apparente contraddizione non deve sorprendere, perché Kurz ci ha abituato a repentine giravolte, da quando faceva la sua prima campagna elettorale viaggiando sulla “Geilmobil” (l’”auto arrapata”) al suo impegno (poi disconosciuto) per l’integrazione dei migranti. Del resto il giovane cancelliere non si ispira ad alcuna ideologia, che non sia quella della semplice conquista e conservazione del potere.

La decisione di uscire dal Patto dell’Onu per l’immigrazione ne è una conferma. Quel patto – lo abbiamo scritto ieri – non è vincolante per i Paesi che vi aderiscono, serve soltanto a indicare obiettivi e metodi per affrontare un fenomeno di dimensioni globali (80 milioni di profughi nel mondo, di cui quelli che arrivano in Europa rappresentano soltanto una minima parte). In altre parole, il “Global Compact” ha soprattutto un valore simbolico.

Ecco allora che anche il dietro-front del giovane “Basti” ha un valore soprattutto simbolico. Si spiega probabilmente, come scrivevamo ieri, con le forti pressioni ricevute dell’alleato di governo, quell’Fpö di Heinz-Christian Strache, che ha promesso ai suoi elettori che nessun altro profugo metterà piede in Austria. Un prezzo pagato al “socio in affari”, per garantire la stabilità del governo (il potere).

Salvo che un fenomeno di dimensioni globali come quello migratorio nessun Paese è in grado di affrontarlo da solo. Lo diciamo noi in Italia, ogni santo giorno, che il problema va affrontato a livello europeo. L’Austria di Kurz e Strache, invece, si illude di potersi chiudere in un isolamento dorato e fare da sé. Ma quando Erdogan scioglierà le briglie alle migliaia di profughi che trattiene in casa sua, pagato dall’Europa, e quando i Salvini respingeranno alla frontiera i “dublinanti” che Austria e Germania vorrebbero restiturici, l’Austria si ritroverà assediata come nel 2015 e sarà divertente vedere come il reparto “Puma” inventato dal suo ministro degli Interni impedirà gli scavalcamenti del confine. Forse allora Kurz si accorgerà che da soli non si va da nessuna parte e che probabilmente serve un accordo globale. Un “Global compact”, appunto, come quello da cui si è appena sfilato.

 

NELLA FOTO del novembre 2015 una massa di profughi in marcia dalla Slovenia verso il confine austriaco. Se una situazione del genere dovesse ripetersi, sarà interessante vedere come l’Austria, che non vuole aderire al “Global compact”, sarà in grado di farvi fronte da sola.

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