Sabato 18 Maggio 2024

13.05.28 Debora Serracchiani 4Il messaggio che arriva da Klagenfurt è chiaro e forte: nulla è stato ancora deciso circa il futuro di Hypo Bank Italia. Quindi per ora è prematuro parlare di liquidazione dell’istituto, perché in merito devono ancora esprimersi i vertici della holding e, prima ancora, il governo austriaco e l’Unione Europea. Chi si è già espressa, però, è quell’”unità di crisi” nominata in fretta e furia dalla ministra delle finanze Maria Fekter, per cercare una soluzione al rebus Hypo Group, e le indicazioni sono sostanzialmente tre: vendita di Hypo Austria entro l’estate; ritiro dall’Italia con liquidazione della banca; creazione di una “bad bank” in cui concentrare tutte le sofferenze del gruppo e rendere possibile la cessione a medio termine delle altre banche controllate nel Balcani, ripulite da tutte le scorie.

 

Ora il governo dovrà dire se farà proprio questo piano. Poi si vedrà se piacerà anche al commissario europeo per la concorrenza Joaquin Almunia. Insomma, ha perfettamente ragione il portavoce di Hypo Group, Nikola Donig, che ieri ci ha assicurato che “non c’è nulla di prestabilito e che Hypo Group avrà cura della sua controllata italiana, a prescindere dalle decisioni che potrebbero essere prese a livello di Unione Europea e di governo austriaco”. Resta il fatto che il piano che sacrificherebbe Hypo Italia non è stato elaborato dai primi che passavano per la strada, ma dal governatore in persona della Banca nazionale Ewald Nowotny, dal suo direttore Andreas Ittner, dal direttore del Finanzmarktaufischt (la Consob austriaca) Helmut Ettl, dal direttore generale della Fimbag (società che controlla le partecipazioni azionarie dello Stato nelle banche) Klaus Liebscher (a sua volta, in passato, governatore della Banca nazionale) e da Georg Krakow, ex magistrato, ora con funzioni di coordinatore in Hypo Group. Insomma, un trust di cervelli del cui parere si dovrà in qualche modo tener conto. In che modo lo si capirà ben presto, perché il commissario Almunia ha dato tempo fino a venerdì 31 maggio, per vedere il piano. Mancano tre giorni.

 

Sulla vicenda ieri mattina la direzione di Hypo Italia ha diffuso un comunicato che riprende sostanzialmente la linea indicata dal portavoce Donig. Nel documento si fa cenno al confronto fra governo austriaco e commissione Ue, affermando che “non è stato adottato alcun piano finale e nessuna decisione finora è stata assunta né dall’Ue, né dalla Repubblica d’Austria, né da Hypo Group”. In questo contesto, “la dimissione dell’attività bancaria dell’istituto italiano è soltanto un’ipotesi” e, benché “sia uno scenario tecnicamente possibile, rappresenta certamente una extrema ratio”.

 

Dopo la fase di spin-off dei “non performing loans” in Hypo Leasing e la riorganizzazione della banca, appena conclusa, “le prospettive commerciali dell’istituto… sono potenzialmente adeguate al mercato locale”. Se, ciononostante, la banca non trova compratori, ciò è dovuto alla “situazione macroeconomica dell’Italia” che è andata peggiorando e “questo ha penalizzato il rapido processo di vendita”.

 

Le rassicurazioni della direzione aziendale non hanno tuttavia tranquillizzato le organizzazioni sindacali, che in una nota congiunta di tutte le sei sigle esprimono preoccupazione per le notizie di “imminente chiusura” della controllata italiana, con conseguente perdita di circa 370 posti di lavoro (290 in Hypo Bank e 80 in Hypo Leasing), in aggiunta ai 97 già esodati dei mesi scorsi. Ma non basta. Nella difficoltà a trovare un compratore per la banca, i sindacati individuano “un piano per sacrificare Hypo Italia sull’altare delle richieste dell’Ue. Infatti, da oltre due anni la controllata italiana subisce ridimensionamenti e scelte strategiche di investimento incomprensibili e incompatibili con il contesto del mercato”. Le organizzazioni sindacali concludono con un appello alle “istituzioni italiane a svolgere attivamente il proprio ruolo di salvaguardia del diritto del lavoro”.

 

Appello subito raccolto dalla presidente della Regione Debora Serracchiani, che ieri, pur trovandosi a Roma per impegni politici, ha trovato il modo per annunciare la convocazione entro la settimana di un tavolo di confronto con i rappresentanti dell’istituto di credito e con i rappresentanti dei lavoratori. La presidente ha sottolineato che “è interesse di tutti fare chiarezza il prima possibile, in modo da essere attrezzati per qualunque sviluppo: stiamo parlando di centinaia di posti di lavoro in regione e non intendiamo trascurare nessuna azione a loro sostegno”.

 

Allarme anche a livello di amministrazioni locali. “Non è pensabile – ci ha dichiarato Mario Pezzetta, sindaco di Tavagnacco, comune che ospita la direzione generale di Hypo Italia – che un ramo di una banca austriaca sia abbandonato al suo destino. Se c’è una questione nazionale austriaca, c’è anche una questione nazionale italiana”. Pezzetta è consapevole che il problema non può essere affrontato a livello regionale, ma richiede passi nei confronti di Vienna e di Bruxelles. “Sentirò la presidente Serracchiani per poterci coordinare. Spero che il governo regionale e quello centrale facciano la loro parte. Se Roma è intervenuta per il Monte dei Paschi di Siena, è impensabile che non intervenga anche per Hypo Bank Italia”.

 

Il sindaco di Udine Furio Honsell ne fa una questione di diritti dei lavoratori da rispettare. “Se si vuole costruire l’Europa – ha affermato – bisogna condividere le responsabilità al di là dei confini. Spero in un accordo, coinvolgendo la presidente della Regione, perché non siano discriminati dei lavoratori soltanto perché non sono austriaci. Serve una tutela che ci faccia sentire tutti cittadini europei. Scaricare i cittadini di un altro Paese è ingiusto, perché siamo tutti eguali”.

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È in crisi il “sistema paese”. Hypo Bank Italia è in crisi e nessuno vuole comprarla? Le cose non stanno proprio così. In crisi è il “sistema paese” Italia e, in tempi difficili come quelli attuali, nessuno si arrischia a investire in una banca, anche se funzionante e con i conti in ordine. La riprova? Ci sarebbero quattro investitori italiani interessati all’acquisto, ma non di Hypo Italia, bensì di Hypo Austria. Insomma, le due banche – entrambe controllate dalla holding carinziana – hanno storie parallele e si potrebbe dire che l’una vale l’altra, ma quella austriaca ispira più fiducia.

 

Le ragioni per cui, dovendo scegliere dove tagliare, gli esperti dell’”unità di crisi” hanno indicato proprio la controllata italiana (e non una delle altre Hypo presenti nei Paesi balcanici), è perché ritenuta quella più difficile da vendere. Gli istituti in Slovenia, Croazia e giù di là potrebbero essere ceduti entro il 2015 (e per questo il governo austriaco insisterà con il commissario Almunia per avere una dilazione di due anni, offrendo in cambio come vittima sacrificale Hypo Italia), mentre per Hypo Austria la vendita dovrebbe essere firmata già entro l’estate.

 

I pretendenti erano in origine quattro, che si sono ridotti a due, dopo l’esame delle loro offerte vincolanti: il gruppo indiano Srei e la società immobiliare viennese Immo-Investor Werner Ebm. La banca, stando alle stime di bilancio, dovrebbe valere 120 milioni. L’indiano e il viennese sono disposti a pagarne 65,5. Insomma, una svendita, più che una vendita. Eppure, pur di liberarsene in maniera non cruenta, il governo austriaco sembra pronto ad accettarla. Tanto pronto che, almeno per il momento, non è stata presa neppure in considerazione l’offerta italiana, più favorevole, ma condizionata dalla partecipazione anche del Land Carinzia, con una quota del 20% del nuovo capitale.

 

La proposta italiana era stata caldeggiata nell’ultima seduta della giunta carinziana dall’assessore Christian Ragger, ma respinta da tutti i colleghi. Ricordiamo che nel sistema costituzionale carinziano Ragger, pur facendo parte della giunta, è all’opposizione (è leader del partito liberalnazionale che ha perso le elezioni) e la sua voce conta poco. Eppure è persona che ha i migliori rapporti con l’Italia, di cui conosce bene la lingua avendo frequentato un’università del nostro Paese.

 

Lo scenario che si prospetta – nonostante le rassicurazioni di Hypo Group che nulla è stato ancora deciso – è un’uscita in tempi ristretti dall’Italia, una cessione a prezzi di realizzo di Hypo Austria e una cessione a medio termine delle altre controllate nei Balcani. Sempreché la commissione europea approvi il piano.

 

Per il Friuli Venezia Giulia si tratta di un duro colpo, non solo in termini occupazionali, ma anche per la funzione ponte che Hypo Bank rappresentava nei confronti del Centro e del Sud Europa (funzioni che per fortuna può continuare a svolgere Unicredit, attraverso la controllata Bank Austria, presente capillarmente nell’Est Europa). Ma si tratta, comunque, di un duro colpo anche per l’Austria, che alla fine si troverà a pagare un conto di 7 miliardi (a tanto è stimato il costo della liquidazione dei rapporti in corso, dei “non performing loans” parcheggiati provvisoriamente in una “bad bank”). Per non parlare dei costi umani. Nella direzione generale di Klagenfurt lavorano 500 dipendenti che, prima o poi, dovranno andarsene. Il palazzo disegnato dall’architetto americano Thom Mayne, con profili sghembi e dal baricentro improbabile, che assomiglia molto alla sede di Tavagnacco dello stesso progettista, sono stati paragonati ieri dalla Kleine Zeitung a un Titanic che affonda.

 

Il salasso di denaro pubblico peserà sul bilancio dello Stato e, poiché il volume di costo della “bad bank” equivale a un debito pubblico, quello austriaco che ora è al 75,5% del Pil, salirà all’80%. Per non farne carico ai contribuenti, il cancelliere Werner Faymann ha annunciato che intende prolungare di qualche anno la tassa speciale sulle banche, che dovrebbe dare un gettito di 9 miliardi. Ma, alla fine, saranno sempre i cittadini a pagare, perché non vi è dubbio che le banche scaricheranno su di essi i maggiori oneri.

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