Forse non è “una storia infinita”, ma sicuramente ha battuto tutti i record di durata il processo per lo scandalo Buwog, che si celebra davanti alla Corte d’assise di Vienna. Un processo monstre, che ha già collezionato 130 (centotrenta!) udienze e di cui non si intravede ancora la fine. Ne parliamo oggi, perché proprio oggi è entrato nel suo terzo anno. La prima udienza, infatti, si tenne il 12 dicembre del 2017. Da allora sono passati due anni nei quali i giudici della Corte di Assise (la presidente Marion Hohenecker e 6 giudici popolari), la schiera di legali degli imputati e delle parti civili e, naturalmente, gli stessi imputati (una quindicina) non si sono occupati d’altro.
Che le cose sarebbero andate per le lunghe lo si era capito fin dall’inizio. La vicenda è complessa, gli imputati sono tanti e i testimoni e i periti sono (o erano) addirittura 166. Nessuno però aveva previsto che il processo sarebbe durato così a lungo.
Protagonista della vicenda è Karl-Heinz Grasser, l’ex giovane ministro delle Finanze del primo governo di centrodestra, voluto a quel posto da Jörg Haider. Era l’enfant prodige del cancelliere Wolfgang Schüssel, che per la prima volta aveva saputo chiudere il bilancio in pareggio (non era così, ma lui era riuscito a far credere che fosse così) e aveva fatto innamorare di sé tutte le donne, non solo quelle austriache (ricordiamo un appassionato articolo-intervista di Isabella Bossi Fedrigotti).
Per far cassa, Grasser nel 2004 era riuscito a convincere il governo a vendere 60.000 alloggi di proprietà dello Stato (tramite l’immobiliare Buwog) e di altre società pubbliche regionali. Nell’operazione era stata favorita una delle società candidate all’acquisto, che aveva ricompensato il favore con una tangente di 9,6 milioni (l’1% dell’affare) versati su un conto di una banca di Cipro e da lì successivamente trasferiti su tre conti anonimi in banche del Liechtenstein.
La cosa non sarebbe mai venuta alla luce se un bel giorno (o un brutto giorno, a seconda dei punti di vista) la banca privata Constantia, che aveva gestito l’operazione, non fosse fallita. Tra le sue carte furono trovati i documenti di un bonifico di 9,6 milioni per il quale non c’era alcuna giustificazione. Era stato ordinato dalla società che si era aggiudicata l’acquisto degli alloggi Buwog e il suo amministratore aveva spiegato, senza tante perifrasi, che si trattava di una provvigione. In altre parole, di una tangente.
Le successive indagini durate 9 anni, con 700 interrogatori e 660 perquisizioni e ispezioni di conti bancari, avevano consentito di individuare i tre conti del Liechtenstein a cui era approdato il denaro e a convincere gli inquirenti che uno di essi fosse nella disponibilità di Grasser e gli altri due facessero capo a due persone vicine all’ex ministro, che avevano concorso al “disegno criminoso”. I risultati della ponderosa e poderosa inchiesta erano stati riassunti in una richiesta di rinvio a giudizio per Grasser e altre 13 persone di 665 pagine.
A due anni e 130 udienze dall’inizio del processo il cammino da percorrere è ancora lungo. Le cose per Grasser si erano messe male fin dall’inizio, perché uno dei coimputati, il lobbista Peter Hochegger, aveva deciso di vuotare il sacco per sperare in una condanna più lieve, mettendo nei guai l’ex ministro e i suoi due sodali. Per completare il quadro processuale la presidente del collegio giudicante ritiene che si dovrà andare avanti sino alla fine di aprile, ma a molti sembra una previsione troppo ottimistica.
In ogni caso, qualche che sia la sentenza che sarà pronunciata, la fine del viaggio è molto lontana. È scontato infatti il ricorso degli imputati, se condannati, o della Procura, in caso di assoluzione, per cui si andrà in appello e forse fino al terzo grado di giudizio, con il rischio di concludere il lungo viaggio con un pugno di mosche. Perché quello che al momento appare il principale teste dell’accusa, Hochegger, si è trasferito in Brasile, da dove non sembra intenzionato a far ritorno (il caso Battisti, in Italia, ci ha fatto capire come funzionano le cose). Insomma, tanto rumore per nulla, perché senza di lui l’accusa potrebbe traballare.
Beh, proprio per nulla no. Forse giustizia non sarà fatta, ma il conto finale sì. Un conto salato, tra spese di giudizio e parcelle di illustri avvocati impegnati a tempo pieno da due anni. Qualcuno ha stimato che forse neppure la tangente di 9,6 milioni basterà per pagare il conto finale.
NELLA FOTO, l’ex ministro delle Finanze Karl-Heinz Grasser, al centro, tra i suoi due avvocati difensori.
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