René Benko, chi era costui? Il nome può dire poco a noi italiani, ma è ben noto in Austria e in Germania, dove fino a ieri era a capo di un impero immobiliare, la Signa Holding. Ora non più, i suoi soci e investitori lo hanno convinto a farsi da parte, nell’interesse suo e dell’impero che ormai da mesi traballa e dà segni di cedimento.
Succede spesso così quando una fortuna cresce troppo rapidamente, senza mettere solide radici. E René Benko era stato il “mago” che aveva fatto lievitare quella fortuna, costruita dal niente. Benko è uno di quei personaggi che guarderesti con sospetto: poca voglia di studiare, scuole superiori interrotte prima del diploma, ma grande fiuto per gli affari, da gestire con astuzia e con buone amicizie tra chi conta nel credito e nella politica.
In pochi anni, dal 1999 in qua, era diventato uno dei più grandi immobiliaristi d’Europa, con proprietà in Austria, in Germania, in Italia e persino negli Usa. Il suo patrimonio personale era stato valutato lo scorso anno dalla rivista economica Trend in 4 miliardi di euro, che lo collocavano all’ottava casella della “top ten” dei più ricchi dell’Austria. Insomma, un “Wunderwuzzi” dell’edilizia, definito così con un appellativo che in italiano significherebbe “tuttofare”, ma che nella lingua tedesca assume una connotazione negativa.
Al nostro “Wunderwuzzi” sono collegabili immobili di lusso come il “Goldenes Quartier” di Vienna a due passi dal Duomo e location delle più importanti case di moda, o palazzi di prestigio come il Chrysler Building di New York, o colossi del commercio come la Galerie Kaufhaus in Germania.
I campi d’azione erano grosso modo tre. Il primo, facente riferimento alla Signa Prime Selection, rappresentava lo scrigno più prezioso della holding, con immobili nei centri storici acquisiti e tirati a lucido, per poi essere affittati o venduti a prezzi esorbitanti. A questo campo appartengono il già citato Goldenes Quartier di Vienna o la Elbtower di Amburgo (ambizioso progetto di torre sull’Elba i cui lavori di costruzione sono stati interrotti, perché alle ditte non arrivavano i soldi).
Il secondo campo era quello gestito dalla Signa Development Selection: costruzione e vendita di immobili di prestigio, come gli appartamenti in vetro e cemento al Belvedere di Vienna o le eleganti costruzioni nello Schönhauser Allee di Berlino.
Infine il campo commerciale, che spazia dalla KaDeWe (Kaufhaus des Westens) di Berlino, da oltre 100 anni il più conosciuto grande emporio al dettaglio di oggetti di lusso nella capitale tedesca, all’austriaca Kika/Leiner, all’e-commerce, gestito tramite la Signa Sports United, “società madre” di più società di commercio online.
Il quadro che abbiamo delineato è soltanto una semplificazione degli intrecci societari costruiti negli anni da Benko. Un vero e proprio labirinto in cui è difficile districarsi e che ha reso sempre meno trasparenti i rapporti tra le varie società facenti capo all’imprenditore austriaco, al punto da rendere quasi impossibile capire chi controlla chi. A capo dell’impero si colloca la Signa Holding, nel cui consiglio di amministrazione, di nove membri, sedeva fino a ieri come presidente Benko.
Finché le cose andavano bene l’immobiliarista senza titolo di studio era omaggiato da tutti, il mondo politico gli faceva la corte (tra i più vicini a lui, Sebastian Kurz, un altro “Wunderwuzzi”, se così vogliamo dire), le banche erano pronte a concedere crediti illimitati. Il vento è cambiato con il Covid, con l’inflazione che ha costretto la Bce ad alzare i tassi di interesse, con la guerra in Ucraina che ha messo in difficoltà il settore immobiliare.
Altri operatori del settore hanno saputo far fronte alle nuove emergenze, ma Benko no. Era cresciuto troppo in fretta e in maniera troppo avventurosa, grazie al boom immobiliare e alla possibilità di accedere al credito a basso o bassissimo costo. Quando la domanda di immobili si è ridimensionata, quando i tassi di interesse sui crediti si sono triplicati e soprattutto quando i costi dell’edilizia, tra materiali e manodopera, sono aumentati, l’impero di René si è rivelato un castello di carta.
Non sappiamo quali pilastri abbiano ceduto per primi. Avevamo già accennato alla fine ingloriosa di Kika/Leiner. La catena commerciale era stata acquistata da Benko nel 2018 e rivenduta quest’anno per 3 euro poco prima che fallisse. L’elenco delle altre sofferenze si allunga di giorno in giorno: la perdita alla borsa di New York di 3 miliardi della Signa Sports United, l’interruzione dei lavori della Elbtower per mancanza di liquidità (con il Comune di Amburgo che vuole che l’edificio venga abbattuto, se non sarà portato a termine), i 190 milioni persi nei soli primi sei mesi di quest’anno dalla Signa Development Selection (valutazione di Bloomberg); i progetti della Sportarena di Stoccarda bloccati; il bilancio 2022 della holding chiuso con un buco di 505 milioni.
Cos’altro c’è da aspettarsi? Benko era impegnato anche in un ambizioso progetto edilizio a Bolzano, il Waltherpark, ed è (o era) proprietario di hotel di lusso in altre parti d’Italia (dal Bauer di Venezia alla Villa Luxury resort sul Garda). Che fine faranno questi investimenti? Saranno risparmiati dall’uragano che sta per scatenarsi?
Probabilmente neppure Benko sarebbe in grado di rispondere e non sembra avere più nessuno disposto ad aiutarlo. I politici che prima gli stavano d’attorno si sono dileguati e le banche hanno incominciato a recuperare i loro crediti (tra le più esposte, Unicredit Bank Austria, Raiffeisen International, Raiffeisenlandesbank Niederösterreich-Wien).
Qualche giorno fa René ha trovato nella cassetta della posta una lettera che gli avevano scritto i consoci della holding, in testa l’imprenditore delle costruzioni Hans Peter Haselsteiner (che partecipa con il 15% alla Signa). La missiva si apre con un affettuoso “Lieber René” (“Caro René”) e prosegue, senza tanti giri di parole, con la richiesta di farsi da parte e di lasciare che un esperto di gruppi societari in difficoltà (la scelta è caduta sul tedesco Arndt Geiwitz) abbia carta bianca per tentare di salvare il salvabile.
C’era il timore che Benko opponesse resistenza. Non è andata così. Ieri il consiglio di amministrazione di Signa Holding si è riunito con all’ordine del giorno la rinuncia di Benko alla presidenza. Hanno votato tutti a favore, Benko compreso. Si è aperto così un nuovo capitolo, che forse consentirà di salvare la holding, ma non senza lacrime e sangue. Il conto lo pagheranno gli investitori che si sono fidati del “Wunderwuzzi” austriaco, le banche che gli hanno dato incautamente credito e, con molta probabilità, anche i contribuenti austriaci e tedeschi. Le migliaia di lavoratori licenziati da Kika/Leiner e dalle altre società in crisi quel conto lo stanno già pagando.
NELLA FOTO, René Benko, a destra, con l’allora cancelliere Sebastian Kurz, quando ancora tutto andava bene. Per entrambi.
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