Nel 2023 che abbiamo appena lasciato alle spalle è caduto un anniversario che non possiamo ignorare: il centenario della “nascita” di Bambi, il cerbiatto protagonista del cartone animato di Walt Disney, che ha commosso generazioni di bambini (e di adulti). Ma il film è del 1942, non di cento anni fa. Perché parliamo allora di centenario? Perché il capolavoro di Disney è tratto da un racconto scritto da un ebreo austriaco nel 1923. L’autore si chiamava Felix Salten, giornalista, scrittore, sceneggiatore, critico teatrale, traduttore e tanto altro ancora, tra i più noti del suo tempo, su cui però è caduto inspiegabilmente l’oblio poco dopo la sua morte, avvenuta nel 1945 in Svizzera, dov’era stato costretto a fuggire per sottrarsi alle persecuzioni naziste.
Oggi quasi nessuno conosce più Felix Salten, mentre tutti sanno chi è Bambi, il personaggio creato dalla sua fantasia, protagonista di un racconto per l’infanzia scritto quasi per caso e, come spesso accade per le cose fatte per caso, diventato poi il suo capolavoro. Prima che fosse un cartone animato, era già diventato un best-seller come libro, tradotto in 30 lingue.
Il centenario della nascita del cerbiatto sarebbe passato inosservato, se le Poste austriache non gli avessero dedicato un francobollo speciale dal valore nominale di 1,20 euro, di cui sono stati stampati 300.000 esemplari. “Tutti noi conosciamo il cucciolo di capriolo Bambi – dice Patricia Liebermann, responsabile della sezione filatelica delle Poste – ma pochi sanno che è di origine austriaca”. Ora, grazie al francobollo, molti anche in Austria faranno questa scoperta. Il francobollo è in vendita in tutti gli uffici postali, ma può essere acquistato anche online, rivolgendosi al Sammler Service delle Poste austriache (indirizzo web: onlineshop.post.at; e-mail: sammler-service@post.at).
Nel 2007, in occasione di una mostra allestita nel Jüdisches Museum di Vienna, avevamo scritto un articolo su Felix Salten per la pagina culturale del Gazzettino. Lo riproponiamo qui sotto.
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Felix Salten non è un nome che possa dire molto a un lettore di oggi. Neppure in Austria, dove pure fu scrittore e giornalista per oltre mezzo secolo, sono in molti a ricordare chi fosse. Ma se aggiungi che fu l’autore di “Bambi”, la storia del cerbiatto trasposta in un cartone animato da Walt Disney, ecco che allora il discorso cambia. Tutti, grandi e piccoli (soprattutto i grandi, per ragioni anagrafiche), hanno visto il film e si sono commossi. Ma se la pellicola porta la data del 1942, il libro è del 1923 e nell’area di lingua tedesca era un bestseller già allora, prima che diventasse un cartone animato.
“Ogni bambino conosce Bambi – ha scritto lo storico austriaco Doron Rabinovici – ma sono ben pochi quelli che sanno qualcosa di Felix Salten. Sembra quasi che l’autore sia stato dimenticato, non “nonostante”, ma “a causa” del suo successo”. Successo non dovuto soltanto a Bambi – uno dei pochi libri per l’infanzia, da lui scritto quasi per caso e, come spesso accade per le cose fatte per caso, diventato il suo capolavoro – ma alla sua poliedrica attività di giornalista, critico teatrale e di cinema (il cinema degli esordi ancora senza voce e di cui si dubitava ancora se potesse essere considerato un’arte), sceneggiatore, regista, librettista di operette, impresario di cabaret, traduttore. Fu persino presidente del Pen club, succedendo nel 1925 ad Arthur Schnitzler, a noi ben più noto e, come Salten, ebreo e testimone di un’Austria post-absburgica, in cui il fallimento della borghesia liberale, moderatamente progressista, stava aprendo le porte ad altre forze, irrequiete e torbide, che avrebbero trovato sbocco nell’austrofascismo di matrice cristiano-sociale e nel nazionalsocialismo.
Salten fu testimone della sua epoca, ma, con i suoi scritti e con il suo ruolo attivo in campo culturale (fu impresario artistico, talent-scout di giovani scrittori, sostenitore di Franz Lehàr e di quella che sarebbe stata definita la “Wiener Operette”, difensore di Gustav Klimt contro la cultura accademica d’anteguerra che aveva condannato i suoi bozzetti per l’aula magna dell’università di Vienna, giudicati troppo audaci), fu anche un uomo che seppe lasciare un’impronta nel suo tempo. Nel 1929, al giubileo per i suoi 60 anni, vennero a festeggiarlo personaggi come Thomas Mann e Sigmund Freud, Arthur Schnitzler, Franz Werfel e Gerhard Hauptmann.
Appare perciò inspiegabile come di un simile personaggio si sia perso il ricordo a distanza di così pochi anni. E, in questo senso, giunge opportuna la mostra che gli ha dedicato il Jüdisches Museum di Vienna, aperta fino al 18 marzo, dal titolo “Felix Salten, scrittore, giornalista, esule”. Sì, anche esule. Salten fa parte di quella schiera di 128 mila ebrei austriaci, costretti a fuggire all’estero negli anni dell’austrofascismo e dopo l’Anschluß dell’Austria al Reich di Hitler. Nella Svizzera, dove aveva trovato asilo nel 1939 (e dove sarebbe morto l’8 ottobre 1945, pochi mesi dopo la fine della guerra), Salten era stato contattato da un mediatore americano, un certo Franklin, interessato ad acquistare i diritti cinematografici sul suo capolavoro “Bambi”. Senza soldi, in terra straniera, Salten non aveva avuto margini di trattativa e si era dovuto accontentare di mille dollari, una somma cospicua, ma non paragonabile a ciò che avrebbe ricavato poco dopo Franklin, rivendendo i diritti alla Walt Disney.
La mostra allestita nel museo ebraico di Vienna illustra questa vicenda e non solo questa. È una esposizione che – con documenti, fotografie, spezzoni cinematografici, lettere di Salten a scrittori come Schnitzler e Hofmannsthal, quadri, costumi, manifesti – illumina completamente la figura del personaggio. Felix Salten (il cui vero nome era Siegmund Salzmann) è un “altösterreicher”, cioè un “vecchio austriaco”, nato in quell’impero absburgico multietnico, che aveva fatto della Mitteleuropa uno spazio geografico di convivenza pacifica e di apertura culturale. Non è un caso che i maggiori scrittori austriaci dell’epoca, da Kafka a Roth, a Canetti, non fossero austriaci, ma provenienti da altre regioni dell’impero.
Non lo era neppure Felix Salten, essendo nato il 6 settembre 1869 a Budapest. Ma nell’Austria liberale della seconda metà dell’800 (le cose sarebbero cambiate qualche decennio più tardi) la nazionalità non contava e l’ebreo Salten, di famiglia ungherese, non aveva avuto difficoltà a inserirsi nella Vienna cosmopolita dell’epoca per intraprendervi l’attività di giornalista. Scrive per il “Wiener Allgemeine Zeitung”, quotidiano liberale del pomeriggio, ma anche per la “Jüdische Welt” e per altri giornali, diventando anche corrispondente del “Pester Lloyd”, giornale di Budapest. Nel 1906 incomincia una sua breve esperienza berlinese, dov’è caporedattore del “Berliner Zeitung” e del “Morgenpost”. In questa sua veste fa parte di una delegazione tedesca che incontra a Londra tra gli altri Wiston Churchill e Lloyd George.
Contemporaneamente all’attività giornalistica, si intensifica quella di scrittore. Pubblica racconti, romanzi, libretti d’opera, sceneggiature per il nascente cinema austriaco. Ed è frutto della sua penna, anche se pubblicato in forma anonima, un romanzo pornografico dal titolo “Josefine Mutzenbacher ovvero la storia di una prostituta viennese raccontata da sé medesima”. Il testo è del 1906 e, come si usava allora per opere che non avrebbero ottenuto il consenso della censura, fu stampato attraverso una sottoscrizione: i potenziali acquirenti finanziavano la stampa delle copie per sé stessi. L’opera ebbe tanto successo che alla prima edizione ne seguirono altre fino a raggiungere la tiratura di un milione di copie, senza che l’autore, rimasto anonimo, ne potesse rivendicare i diritti.
Ed è curioso pensare che il delizioso e sensibile autore di “Bambi” avesse scritto anche un romanzo porno, che non lascia spazio all’immaginazione, considerato oggi l’unico classico del genere nella letteratura tedesca. È curioso, ma non deve stupire. La poliedrica personalità di Salten riflette la poliedricità della comunità ebraica viennese dei suoi anni, che anche la mostra del Jüdisches Museum mette opportunamente in luce, affrontando temi trasversali alla biografia dello scrittore, come l’erotismo, la cultura urbana, il sionismo (Salten fu amico di Theodor Herzl, si interessò al sionismo e nel 1924 intraprese anche un viaggio in Palestina, di cui scrisse vari articoli per la “Neue Freie Presse”, poi raccolti nel libro “Nuovi uomini per una terra antica”). Nella storia privata dell’”altösterreicher” Salten si rispecchia il problema dell’identità dell’ebraismo viennese del tempo, diviso al suo interno tra assimilazione liberale, ammodernamento culturale, sionismo.
È una storia di cui nella Vienna di oggi non rimane più traccia, non solo perché la follia nazista ha quasi cancellato la presenza ebraica nella città, ma anche perché il mondo di allora è cambiato. “Salten – ha scritto Rabinovici – è sopravvissuto soltanto di pochi mesi al nazismo, ma gran parte dei suoi lettori erano stati annientati. La Vienna dei feuilleton, dei teatri, dei caffè letterari non esisteva più. Tutto ciò per cui aveva scritto era stato distrutto e mandato in rovina”.
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