L’immagine degli immigrati che dà più fastidio agli austriaci disinformati è quella di giovani che bighellonano nei giardini pubblici, nelle piazze, nei viali delle città, senza far nulla, sempre con il telefonino in mano. Sono fannulloni? L’opinione più diffusa è questa. In realtà è vero proprio il contrario, come afferma Bernd Klisch, direttore della Caritas nel Vorarlberg: “Quando arrivano da noi – spiega – ci chiedono dove possono imparare il tedesco e quando finalmente potranno incominciare a lavorare”. Hanno bisogno urgente di guadagnare, per restituire alla famiglia e ai parenti i soldi che hanno dato loro per affrontare il lungo viaggio.
Sono domande a cui Klisch non è in grado di rispondere. Corsi di tedesco e avvio al lavoro sono possibili, ma solo dopo il conseguimento dello status di rifugiato, che può richiedere mesi o anni. In realtà ai richiedenti asilo era stata data la possibilità di apprendere la lingua del Paese (pensiamo agli anni in cui Sebastian Kurz era sottosegretario per l’integrazione), ma poi la politica aveva seguito una linea diversa, puntando al respingimento e al rimpatrio degli stranieri in arrivo. E, se devono essere rimpatriati, che senso avrebbe favorire la loro integrazione?
Un po’ quel che accade in Italia con gli immigrati trattenuti nei centri di accoglienza, dove rimangono un tempo infinito senza imparare una parola di italiano, anziché essere affidati al Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), dedicato esclusivamente ai titolari di protezione e a poche altre categorie.
Il Vorarlberg ha deciso di prendere di petto il problema e di cambiare direzione. “È un imperativo del momento – ha dichiarato il governatore Markus Wallner (Övp) – favorire l’integrazione degli stranieri ospiti. Lo chiede l’80% dei cittadini. Vanno evitate le situazioni orripilanti, che si vedono in altri Paesi”. Quando parla di “situazioni orripilanti”, Wallner pensa probabilmente anche all’Italia, che non solo non cura l’integrazione dei nuovi arrivati – di cui le nostre aziende avrebbero estremo bisogno – ma addirittura li delocalizza in altri Paesi, dove sicuramente non impareranno una parola di italiano.
Dal 1. giugno è in vigore, solo nel Vorarlberg, un “codice di comportamento” che viene sottoposto a tutti i nuovi immigrati e ai 1.750 già presenti nel Land, che beneficiano del “Grundversorgung” (cibo, alloggio, assistenza sanitaria, vestiario, scuola ecc.) e del cosiddetto “Taschengeld” (somme di denaro per le piccole spese quotidiane, non superiori ai 10 euro). Gli immigrati non sono obbligati a sottoscriverlo, ma, se lo fanno, si impegnano a seguire corsi di tedesco e di comportamento (qualcosa di analogo all’educazione civica) e a rendersi disponibili per lavori di pubblica utilità.
E chi non sottoscrive? Per il momento per lui non cambierà nulla, ma è prevista una seconda fase, nella quale i renitenti saranno sanzionati con una riduzione delle prestazioni di assistenza e del “Taschengeld”. Si è proceduto in due fasi, su insistenza dei Verdi che sono partner dell’Övp nel governo del Land, per vedere prima quanti firmeranno il “codice” e quanti ne rispetteranno gli impegni.
Secondo Klisch le sanzioni non saranno necessarie. Gli immigrati che si rivolgono ai centri di informazione della Caritas fremono per poter incominciare a lavorare. Quindi le adesioni al “codice” dovrebbero essere generali. In vista delle adesioni le ore di lezione di tedesco sono state raddoppiate, mentre sono in corso contatti con Comuni, associazioni di volontariato e ong, a cui saranno affidati gli immigrati per lavori di pubblica utilità.
Può parere strano che un’iniziativa del genere sia stata assunta da un Land piccolo come il Vorarlberg, all’estremità occidentale del Paese. In realtà una spiegazione c’è. Gli stranieri che entrano in Austria non si distribuiscono uniformemente in tutto il territorio, ma prediligono Vienna e, non si sa perché, proprio il Vorarlberg, che, dopo la capitale, ne registra la presenza maggiore, in percentuale e in cifre assolute.
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