Sono passati i tempi in cui ci si poteva laureare copiando la tesi a destra e a manca, per risparmiarsi le fatiche di una personale ricerca. Era sempre un comportamento disonesto e censurabile, ma chi sceglieva questa scorciatoia aveva quasi sempre la certezza di farla franca, perché nessuno se ne sarebbe accorto. Del resto, oltre al relatore, chi altro della commissione di laurea avrebbe avuto voglia di leggersi la tesi di uno studente?
Oggi il rischio di essere scoperti è molto maggiore, perché le fonti del sapere viaggiano ormai sulla rete e per chi ha un po’ pratica di navigazione in Internet poche parole chiave possono bastare per rintracciare le fonti originali di un documento. È così possibile scoprire, per esempio, se una tesi di laurea è farina del sacco del laureando o se al contrario è “farina” attinta da altri “sacchi”.
Naturalmente attingere ad “altri sacchi” non è di per sé deplorevole. Anzi, è normale che un laureando per svolgere la sua dissertazione faccia riferimento a ciò che altri hanno già studiato e pubblicato prima di lui. L’importante è che di questi riferimenti citi sempre la fonte. Nelle pubblicazioni scientifiche, non solo nelle tesi di laurea, le note a pie’ di pagina, che richiamano altri documenti – con l’indicazione degli autori, dei titoli, delle edizioni, dei numeri di pagina – occupano spesso più spazio del testo principale. Il problema nasce quando ci si dimentica di menzionare le fonti.
Per definire comportamenti del genere si usa una sola parola: plagio. Nei casi più gravi può diventare un reato perseguibile penalmente o comportare la revoca della laurea. In genere non se ne viene a conoscenza, a meno che l’autore del plagio non sia un personaggio pubblico.
È quel che è accaduto in questi giorni in Austria con Christine Aschbacher (nella foto con il cancelliere Sebastian Kurz, di spalle), esponente dell’Övp (Partito popolare) e fino a ieri ministra per il Lavoro, la Gioventù e la Famiglia del governo Kurz, accusata appunto di plagio. Aschbacher ha respinto con fermezza l’accusa, difendendo l’integrità del suo lavoro scientifico, ma ieri sera ha rassegnato le dimissioni, dopo essersi consultata prima con il cancelliere.
Aschbacher 15 anni fa aveva conseguito la laurea triennale in materie economiche in una scuola superiore di Wiener Neustadt (equiparata a una università); era seguito un dottorato di ricerca all’Università di Bratislava.
La scelta di Bratislava appare strana, forse perché ricorda vagamente gli studi del figlio di Bossi all’Università di Tirana. Stiamo parlando di una frequentazione che risale a dieci anni fa, conclusasi nel 2012 senza raggiungere alcun titolo. Ma gli otto anni da allora a oggi non erano passati invano: la ministra li aveva utilizzati per scrivere le 134 pagine della sua “Dissertation”, che nel maggio dello scorso anno, dopo la fine del primo lockdown, aveva potuto depositare all’ateneo slovacco. In agosto era seguita la discussione davanti alla commissione accademica, che le aveva permesso da quel momento di fregiarsi del titolo di “Frau Doktor”.
Titolo meritato? A metterlo in dubbio era intervenuto qualche giorno fa Stefan Weber, esperto di informatica e di media, molto conosciuto in Austria come “Plagiatjäger”, ovvero “cacciatore di plagi”. Quando qualcosa gli puzza, parte alla ricerca di verifiche in rete. Lo ha fatto anche con “Frau Doktor” Aschbacher, passando ai raggi “x” la sua tesi di dottorato. Nel testo ha incrociato ben 21 brani copiati di sana pianta da altre pubblicazioni, senza che l’autrice ne avesse fatto menzione. In altre parole Christine Aschbacher avrebbe presentato come sue pagine che erano frutto della fatica di altri.
Ma non si tratta solo di plagio. La scarsa qualità dell’elaborato apparirebbe evidente anche senza l’ausilio di software che permettono una ricerca in rete. Il testo presenta vistose carenze stilistiche e grammaticali, ma diventa improvvisamente scientificamente corretto e senza errori quando si arriva alle righe trasferite con il copia-incolla da altre fonti. Insomma, la commissione d’esame o quanto meno il relatore della tesi avrebbero dovuto accorgersi subito che vi erano parti del testo claudicanti riconducibili alla Aschbacher e altre parti riconducibili invece ad autori in grado di padroneggiare come si deve la lingua tedesca. In altre parole la ministra può essere accusata non solo di plagio, ma anche di non saper scrivere in tedesco. Vi sarebbe inoltre una grave responsabilità anche in chi aveva valutato il suo lavoro, senza nemmeno accorgersi che alcune pagine – per dirla con Weber – sembravano scritte da un immigrato e tradotte in un tedesco con Google.
I rilievi mossi alla tesi di dottorato valgono anche per la tesi della laurea triennale alla scuola superiore di Wiener Neustadt, che 15 anni fa era stata giudicata “sehr gut” dal collegio dei docenti. Ora la direzione di quella scuola ha fatto sapere che sta esaminando i rilievi mossi da Stefan Weber, per verificarne la solidità e per “prendere eventualmente le misure necessarie”.
La ministra inizialmente non aveva ritenuto di replicare al “cacciatore di plagi”, ma attraverso un suo portavoce aveva fatto sapere di “aver lavorato al meglio secondo scienza e coscienza”. Ieri sera, invece, è giunta a sorpresa la notizia delle sue dimissioni. Una decisione presa sicuramente anch’essa “in scienza e coscienza” e del resto inevitabile per una ministra che non sa scrivere nemmeno nella sua lingua madre.
Se fosse rimasta sulla sua sua poltrona, tutti i giornali e soprattutto i social ne avrebbero parlato ancora per giorni e giorni e questa sarebbe stata un nuova grana per il cancelliere Kurz, che già deve vedersela con i clamorosi ritardi nel piano vaccinazioni. La sua uscita di scena, invece, pone fine alla discussione.
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