Da ieri il ritorno alla “nuova normalità” in Austria ha significato il ritorno al lavoro dei cosiddetti “prestatori di servizi”, un settore per lo più autonomo, che va dai parrucchieri alle estetiste, ai massaggiatori. Quasi due mesi di inattività hanno messo in croce gli operatori del settore (anche se l’Austria ha dato a tutti un “aiutino” di 2.000 euro al mese), ma hanno messo in croce anche la clientela, soprattutto quella femminile, alle prese con capelli ribelli, lunghi e ritornati spesso al loro colore naturale.
Ieri avrebbero dovuto riprendere il loro lavoro – ma tutti in Austria se n’erano dimenticati – anche le prostitute. Sono “prestatrici di servizi” storicamente da più lungo tempo presenti sulla scena lavorativa. In Austria pagano le tasse e versano i contributi previdenziali e, se il loro reddito supera i 7.500 euro all’anno, devono persino dotarsi di un registratore di cassa.
Quelle ufficialmente registrate in Carinzia sono circa 400, concentrate nella zona di Villaco e Klagenfurt, dove operano 36 bordelli autorizzati, ma si stima che il loro numero sia almeno doppio. La clientela è soprattutto italiana e slovena (dato che in Italia e in Slovenia la prostituzione non è consentita) e la Carinzia perciò è una base strategica per cogliere questa opportunità
Abbiamo scritto “operano”, ma avremmo dovuto scrivere “operavano”, perché anche per queste lavoratrici l’epidemia da Coronavirus ha comportato la cessazione dell’attività. Dal 16 marzo, infatti, tutti i bordelli dell’Austria sono stati chiusi ed è stato vietato l’esercizio della prostituzione, per il pericolo di diffusione del contagio che essa comporta.
Per questa categoria di lavoratrici si è trattato di una tragedia, essendo venuta a mancare ogni fonte di sostentamento e non potendo beneficiare dell’assegno da 2.000 euro toccato agli altri lavoratori autonomi trovatisi improvvisamente anch’essi a reddito zero. Per giunta, il 98% delle prostitute sono straniere, in massima parte romene, seguite da ungheresi, spagnole e slovacche. Non possono contare, quindi, su una rete di protezione familiare e, per i limiti alla mobilità e la chiusura delle frontiere, non possono nemmeno ritornare a casa loro. Alcune di esse hanno figli piccoli nel loro Paese e i guadagni del loro lavoro erano destinati al loro mantenimento.
Non deve stupire, perciò, che molte di esse abbiano cercato di continuare a esercitare illegalmente l’attività in case private, utilizzando gli strumenti di internet per avvicinare la clientela. Ma i messaggi su internet li possono vedere tutti, anche la polizia, che più di una volta è intervenuta, applicando sanzioni fino a 3.600 euro.
Da ieri, dunque, avrebbero dovuto riprendere il lavoro anche queste professioniste a luci rosse. Nessuno ci aveva pensato, tranne il quotidiano “Kurier”, che ne ha dato notizia il 30 aprile nella sua pagina web, suscitando un’ondata di commenti sui social e, supponiamo, anche qualche scossa tellurica nei ministeri competenti. Non sono state sollevate obiezioni di ordine etico, ma sanitario.
Per questo, tempo un paio d’ore, è uscita una nuova ordinanza che prevede esplicitamente l’esclusione delle prostitute dall’elenco dei prestatori di servizi che possono tornare al lavoro e vieta la riapertura dei bordelli. Per queste lavoratrici, ancorché contribuenti del fisco, la fame durerà ancora un po’.
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