Sabato 12 Ottobre 2024

20.09.13 Susanne Raab (Övp), ministra donne e integrazione - CopiaQualche giorno fa la ministra Susanne Raab (del Partito popolare) ha presentato l’annuale rapporto sull’integrazione degli immigrati in Austria, che è il settore di cui si occupa. Ne avevamo riferito in questo blog, dando conto del dato più importante: l’aumento del numero degli stranieri che sta cambiando profondamente il Paese. Ormai quasi un quarto della popolazione è composta da persone nate all’estero o ha genitori, almeno uno dei quali è nato all’estero.

A presentazione conclusa, alcuni giornalisti hanno insistito perché Raab chiarisse meglio uno dei punti della sua esposizione: il pericolo che a Vienna potessero formarsi “società parallele” formate da comunità chiuse di stranieri appartenenti allo stesso gruppo nazionale. Che cosa aveva in mente? Pensava forse alle banlieue parigine?

Nel dare la sua risposta, la ministra è partita in quarta, perché tra meno di un mese a Vienna si vota e Raab parla sempre volentieri dei problemi che gli stranieri creano nella capitale, per dare addosso all’amministrazione comunale, retta da socialdemocratici e verdi. Alla domanda che le è stata posta ha così risposto: “Quando persone vanno soltanto nel supermercato turco, sono presenti in associazioni turche, frequentano la moschea, giocano a calcio nel club turco, allora questo comporta che non hanno alcun contatto con il resto della società ed è un segnale dell’esistenza di una società parallela”.

“Quel che noi non vogliamo – ha soggiunto – sono condizioni come quelle nei sobborghi parigini, nelle banlieu. Abbiamo già visto un escalation della violenza, poiché c’è un terreno di coltura della violenza. Non è questa la visione che vogliamo avere. Non vogliano Chinatown o Little Italy a Vienna, ma una completa integrazione, dove si incontrino uomini con o senza una immigrazione alle spalle”.

Il riferimento a Cina e Italia ha lasciato interdetti i giornalisti. Che c’entrano questi due Paesi che non hanno mai posto problemi di integrazione in Austria? Nelle 134 pagine del rapporto l’Italia è citata una sola volta e la Cina mai (l’Afghanistan 51 volte, la Turchia 46). Perché allora menzionare, anche solo a titolo di esempio, il pericolo di un ghetto italiano a Vienna, alludendo alla criminalità mafiosa che l’immagine della “Little Italy” evoca?

Una curiosa associazione, stupidamente populista, dovuta a scarsa cultura e a incompetenza politica. “Nella Little Italy a New York – ha scritto Thomas Mayer, nella pagine di “Der Standard” – si insediarono un tempo molti dei milioni di immigrati venuti dall’Italia. C’erano gangster, c’era la mafia. Ma in gran parte erano persone laboriose e capaci. Esse hanno fatto grande quella città cosmopolita, insieme con tutti gli irlandesi, gli ebrei, i migranti giunti dal Burgenland (il Land più povero dell’Austria, nda), che arrivavano da un’Europa distrutta”.

“Oggi – ha soggiunto Mayer – a New York City la ‘Kleine Italien” degli italiani non c’è più da tempo. È diventato un quartiere chic, cosmopolita. La ministra Raab dovrebbe andarci. Potrebbe imparare qualcosa”.

 

 

NELLA FOTO, Susanne Raab, la ministra del governo Kurz che si occupa di donne e integrazione.

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