Sono 75 i femminicidi commessi in Austria dall’inizio dell’anno. Sono pochi o sono troppi? È una domanda che non ci si dovrebbe mai porre, perché anche un solo femminicidio (un solo omicidio) è sempre troppo. E pur tuttavia è un conto che occorre fare, per comprendere dove stiamo andando e se il mondo in cui viviamo è migliore o peggiore di quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle.
In Austria il conto delle donne ammazzate lo tiene l’Autonome Österreichische Frauenhäuser (Aöf), un’organizzazione apolitica formata da volontarie che prestano assistenza alle donne vittime di violenza. È l’Aöf a informarci che fino ad oggi i femminicidi in Austria sono stati 75. Per la verità, le donne assassinate sono state 77, ma l’Aöf distingue i femminicidi veri e propri (in cui la donna è rimasta vittima per mano dell’ex partner, di un membro della famiglia o di altri maschi a lei vicini) dagli altri casi. Quest’anno gli “altri casi” in Austria sono stati due: una donna uccisa da un’altra donna e una donna uccisa da un barbone polacco che voleva derubarla.
L’ultimo femminicidio in Austria risale al 7 novembre scorso. Accade in un condominio di Pöls-Oberkurzheim, nel mandamento di Murtal (Stiria). Un uomo di 61 anni ammazza la moglie di 57, al termine di un violento litigio. Quando arriva la polizia, chiamata da un parente della coppia allarmato dalle urla, la donna è ormai senza vita; il marito è presente e si lascia arrestare senza opporre resistenza.
Dal registro tenuto dall’Aöf apprendiamo che è quasi sempre il marito a uccidere la moglie. Oppure è l’ex partner. Più raramente la mano omicida è quella del figlio, del padre o di altri membri della famiglia. La scena del delitto è quasi sempre l’abitazione della vittima e del suo assassino, il luogo in cui ci si dovrebbe sentire più sicuri e protetti.
Le analogie con i casi di femminicidio in Italia sono frequenti. Lo sapevamo già, ma ci vengono ricordate nei tanti dibattiti che radio e tv ci propongono in questi giorni, dopo la dolorosissima vicenda di Giulia Cecchettin. Sono riflessioni doverose, ma che trascurano un dettaglio: l’omicidio di Giulia, come l’omicidio di tante altre donne italiane rimaste vittime degli uomini che dicevano di amarle, sono tragedie dolorose per i familiari, per gli amici, per la comunità a cui appartenevano. Ma rappresentano casi eccezionali.
La normalità è di un Paese dove la stragrande maggioranza dei maschi non uccide e non usa violenza nei confronti di mogli, compagne, fidanzate. La riflessione sul caso di Vigonovo, dunque, va fatta, ma è ingiustificata l’autoflagellazione dei maschi italiani proposta a tamburo battente da tutti i media. Perché così facendo si perde di vista la realtà.
La quale realtà ci dice che in nessun’altra parte del mondo la donna è più rispettata e protetta che in Italia. Claudio Cerasa, su Il Foglio, ci ha ricordato l’altro ieri che in Europa negli ultimi 10 anni il numero dei femminicidi è sceso del 19%. Il tasso di omicidi di donne per mano del partner o di un familiare è di 1,1 per 100.000 abitanti nel mondo. In Africa è del 2,5, in America dell’1,4, in Oceania dell’1,2, in Asia dello 0,8.
In Europa il tasso di femminicidi per 100.000 abitanti è dello 0,6. Ma questo è il dato medio. In alcune aree d’Europa è maggiore, in altre è minore. In Austria, con 75 femminicidi, è dello 0,82. In Italia è dello 0,32. Meno della metà. Soltanto il minuscolo Lussemburgo ha meno femminicidi di noi (0,38). In altre parole, l’Italia ha uno dei tassi più bassi al mondo.
Detto questo, ben vengano corsi di educazione sentimentale e/o sessuale nelle scuole, leggi speciali antiviolenza promulgate d’urgenza, manifestazioni in piazza con scarpette rosse. I maschi italiani sono i meno violenti al mondo (secondi soltanto ai lussemburghesi), ma si può sempre far di meglio.
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