L’Austria ha vinto a Basilea la 69. edizione dell’Eurovision Song Contest. Il cantante che la rappresentava, Johannes Pietsch, in arte “JJ”, ha ottenuto il maggior numero di voti, 436, con largo distacco sugli inseguitori (al secondo posto Israele con 357 voti, poi Estonia con 356, Svezia con 321, Italia con 256). Per la piccola Austria è un grande successo: quella di ieri sera è la terza vittoria in questa competizione dell’Europa canora. Prima di “JJ” avevano già vinto l’Eurovision Song Contest nel 1966 Udo Jürgens, già noto al pubblico italiano per la sua partecipazione al Festival di Sanremo dell’anno prima, e nel 2014 Conchita Wurst, nome d’arte del travestito Thomas Neuwirth.
Quella di ieri sera, a Basilea, è una vittoria dell’Austria, ma di un’Austria multietnica, qual è oggi. Johannes Pietsch, alias “JJ”, è di padre austriaco, come rivela il cognome, ma è nato e cresciuto a Dubai 24 anni fa. La madre è una cuoca filippina e i connotati del viso del giovane vincitore ricordano l’etnia materna. Parla tedesco, inglese, francese, ma anche tagalog, la lingua più diffusa nelle filippine.
La canzone con cui ha vinto, “Wastend Love”, è in lingua inglese e la cosa non deve stupire: molti si presentano all’eurofestival con brani in inglese, perché è una lingua franca che può essere compresa (e votata) da un pubblico più vasto. Era inglese anche la canzone di Conchita Wurst, dieci anni fa, mentre Udo Jürgens aveva cantato in francese. Può stupire, invece, che sia stata composta da una musicista e cantante austriaca, ma di famiglia serba, Teodora Špirić, nata a Vienna, ma vissuta per alcuni anni a Kladovo, nel distretto di Bor. Come cantante, Špirić si era candidata anche lei per rappresentare l’Austria nel 2020 all’eurofestival, ma, non avendo superato la selezione, si era riproposta per la Serbia, con una canzone scritta appositamente nella lingua del paese di origine della sua famiglia.
Conquistato il titolo europeo, l’Austria sta già pensando alla prossima edizione del “song contest”. Il Paese che vince, infatti, ha l’onore e l’onere di ospitare l’edizione successiva. Era accaduto così anche dopo la vittoria di Conchita Wurst. L’organizzazione spetta all’Orf, l’emittente tv pubblica, che deve decidere quale sia la sede più idonea. Nel 2015 la scelta era caduta sulla Stadthalle di Vienna, uno spazio in grado di ospitare fino a 16.000 spettatori. Il padiglione dovette essere riammodernato per l’evento, con un costo di quasi 9 milioni di euro. Ma i costi organizzativi complessivi ammontarono a 35 milioni, in parte compensati dagli incassi e dalla pubblicità.
I benefici generali, tuttavia, furono di gran lunga superiori. Nei giorni del festival si registrò il tutto esaurito negli hotel, con 20.000 pernottamenti stimati in più e un volume di incassi di oltre 10 milioni. Per non contare le ricadute sulla ristorazione, sul commercio, sui servizi e sulle infrastrutture turistiche. L’Ihs (l’Istituto superiore di studi economici) aveva stimato un fatturato complessivo di 38,1 milioni di euro, che aveva determinato un gettito fiscale di 6,2 milioni e contributi assicurativi e previdenziali per 5,9 milioni. Lo spettacolo canoro visto in tv da 150 milioni di spettatori, inoltre, aveva avuto un effetto promozionale dal valore difficilmente stimabile.
Ecco dunque le ragioni per cui già ora sono molte le città austriache che si contendono l’ospitalità dell’Eurovision Song Contest del 2026. C’è naturalmente Vienna, ma accanto a lei si propongono Innsbruck (con l’Olympiaworld in grado di ospitare 12.000 spettatori), Graz (con la Stadthalle di 11.000 posti), ma anche città che dispongono di sedi meno capienti, come Wels e Klagenfurt.
NELLA FOTO, Johannes Pietsch, in arte “JJ”, con la bandiera dell’Austria, dopo il trionfo all’Eurovision Song Contest di Basilea.
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