Ci sono molti modi per ricordare Mahler, di cui quest’anno ricorre il 150. della nascita (e nel 2011 il centenario della morte). Vienna probabilmente ha scelto quello migliore: non soltanto offrendo una serie di concerti nei templi della musica, come lo Staatsoper, il Musikverein, il Konzerthaus, il Theater an der Wien, ma anche scoprendo – o riscoprendo – l’intenso rapporto tra la capitale e il compositore e direttore d’orchestra. Lo Staatsoper (il Teatro dell’opera di Vienna) non sarebbe ciò che è oggi se Gustav Mahler non lo avesse diretto per dieci anni, tra il 1897 e il 1907. Ma anche Mahler non sarebbe diventato quel genio della musica di fine secolo che è stato e il precursore della “nuova musica”, se non fosse vissuto nella capitale austriaca tra ‘800 e ‘900 e non ne avesse assorbito gli umori e i fermenti culturali.
È la Vienna della belle époque, che ha appena lasciato alle spalle la cultura della Gründerzeit e dell’eclettismo e si sta avviando, al ritmo di tre quarti dei valzer di Strauss, verso tempi nuovi. Sedimentazioni classiche, nuova razionalità e sottili inquietudini convincono una generazione emergente di artisti a rompere con lo storicismo accademico della seconda metà dell’800. È la Secession di Gustav Klimt e Kolo Moser, il cui simbolismo troverà sbocco di lì a poco nell’espressionismo della Brücke, nelle allucinazioni di Kokoschka, nell’erotismo di Schiele.
Otto Wagner, Josef Hoffmann, Adolf Loos obbligheranno l’architettura a cambiare linguaggio. Una svolta evidente, che si riverbererà fino alle periferie del grande impero multietnico degli Absburgo. Fino a Trieste, a Gorizia, a Lubiana, per citare luoghi a noi vicini, dove possiamo individuarne ancora le tracce: quelle, per esempio, lasciate negli edifici di Gorizia di Max Fabiani o nei palazzi e nelle chiese di Lubiana di Jože Ple?nik, allievi entrambi di Wagner.
È la Vienna costretta a fare i conti con l’”Unbewusste”, scritto con la prima lettera in maiuscolo, perché Sigmund Freud ha spiegato ai suoi connazionali che l’”inconscio” non è più soltanto un aggettivo, ma è diventato sostantivo e vuole quindi l’iniziale maiuscola, come tutti i sostantivi nella lingua tedesca. È la Vienna degli scrittori Arthur Schnitzler e di Max Reinhardt.
Sono personaggi – quelli citati e altri ancora – le cui vite si incrociano con la vita di Mahler. Molti di essi li conosce personalmente nel salotto di Bertha Zuckerkandl, luogo prediletto di frequentazione della borghesia colta viennese al cambio del secolo. È in quell’ambiente che Mahler nel 1901 incontra anche Alma Schindler, figliastra del pittore Carl Moll (uno dei fondatori della Secession), che l’anno dopo avrebbe condotto all’altare. Ma è soprattutto in quell’ambiente che Mahler attinge ai fermenti della sua “nuova musica”.
Molti dei protagonisti di quella straordinaria fase storica sono viennesi di adozione, approdati alla capitale da regioni a volte remote dell’impero. Lo stesso Mahler vi era giunto dalla Boemia, essendo nato il 7 luglio 1860 a Kalischt. Sono anni di tumultuosa immigrazione e di incontrollato inurbamento, che genera degrado, disoccupazione, violenza. Sono gli anni delle adolescenti che si riversano nella capitale per prostituirsi, immortalate nella figura di Josefine Mutzenbacher, protagonista del primo romanzo porno della letteratura tedesca (un bestseller da 3 milioni di copie), di autore anonimo, ma attribuito a Felix Selten (sì, proprio l’autore della dolcissima fiaba di Bambi, resa celebre più tardi da Walt Disney).
Sembra di riconoscere situazioni dei nostri giorni, con ondate di immigrati in arrivo dai Balcani e dal Centro Europa, che spaventa molti di noi ma che, dati statistici alla mano, sono inferiori a quelle che si registravano a Vienna e nelle grandi città dell’impero a inizio ‘900. Anche Mahler ne aveva fatto in un certo qual modo parte, essendo giunto quindicenne a Vienna, da lui definita allora con enfasi “terra promessa”. E vien da chiedersi quale sarebbe stato il suo destino di compositore e quale vuoto avrebbe lasciato nella storia della musica del ‘900 se una politica migratoria ottusa gli avesse impedito di vivere in quella sua “terra promessa”, di iscriversi al conservatorio e di diventare quello che poi è diventato.
Nel rendere omaggio a Mahler, Vienna dedica al suo figlio adottivo una mostra di grande spessore nel Museo del teatro, in palazzo Lobkowitz, a due passi dallo Staatsoper (aperta fino al 3 ottobre). È articolata in più sezioni dedicate al periodo degli studi di Mahler a Vienna, alla cerchia dei suoi amici, ai 17 anni in cui diresse diversi teatri dell’opera europei, prima di ritornare a Vienna, per dirigere per 10 anni lo Staatsoper, agli ultimi anni della sua vita, divisi tra il Metropolitan di New York e la sua città. La mostra utilizza l’abbondante materiale conservato nei musei e nelle biblioteche di Vienna e nel lascito personale della famiglia, nonché nell’eredità artistica di Alfred Roller, che fu lo scenografo principale delle opere da lui messe in scena a Vienna. Curatori sono Reinhold Kubik (musicista e vicepresidente della Internationale Gustav Mahler Gesellschaft) e Thomas Trabitsch (direttore del museo). Il loro lavoro scientificamente ineccepibile consente di capire meglio non solo Mahler, ma anche la Vienna del secolo scorso e, in definitiva, anche un pezzo della nostra storia recente.
Nella foto in alto, Gustav Mahler in età matura; in basso, Alma Schindler, conosciuta dal compositore nel salotto di Bertha Zuckerkandl e divenuta più tardi sua moglie.