Mercoledì 7 Maggio 2025

Sono passati tre secoli e mezzo da quel 12 settembre del 1683, quando il re polacco Jan Sobieski, con le sue truppe, riuscì a liberare Vienna dall’assedio turco, che durava da ormai due mesi. Fu un evento epocale, perché segnò la fine dell’espansionismo ottomano nell’Europa centro-orientale. Il successo fu dovuto in parte al capolavoro diplomatico del cappuccino Marco d’Aviano, che, su incarico del pontefice Innocenzo XI, era riuscito a ricreare la “lega santa” delle nazioni cristiane, convincendo polacchi, austriaci, italiani e tedeschi di vari Länder a combattere insieme contro i turchi.
Prima della battaglia padre Marco d’Aviano celebrò una messa sul Kahlenberg, il rilievo montuoso che domina Vienna da nord e da cui poi fu sferrato l’attacco. Il cappuccino galvanizzò le truppe, esortandole a sconfiggere “gli infedeli”. Il risultato fu raggiunto. Vienna fu liberata e l’esercito ottomano fu costretto alla ritirata. Il frate fu festeggiato come un eroe, al punto che alla sua morte, 16 anni dopo, la salma ebbe il privilegio di essere deposta nella cripta del Cappuccini, accanto ai feretri degli Asburgo.
Gli incitamenti del cappuccino furono senza dubbio utili allo scopo, ma il risultato non sarebbe stato raggiunto senza l’impiego delle armi. Ancor oggi, a distanza di secoli, delegazioni polacche salgono ogni anno sul Kahlenberg, nella ricorrenza della battaglia che si tenne tra l’11 e il 12 settembre. Su loro desiderio, nel 2013 fu montato sul Kahlenberg un basamento, che avrebbe dovuto reggere la statua del re polacco che aveva salvato Vienna dai turchi. L’incarico fu affidato allo scultore Piotr Zapart, che cinque anni dopo approntò una statua alta 8 metri, del peso di tre tonnellate.
L’opera, tuttavia, non fu mai posta sul basamento a cui era destinata, non avendo ottenuto l’approvazione della Commissione per i monumenti del Comune di Vienna. Aveva un’impronta troppo anti-turca e avrebbe potuto dar luogo a controversie, in una metropoli in cui è presente una numerosa comunità turca. I polacchi ne presero atto e decisero di onorare il loro re in patria, destinando temporaneamente la statua di Jan Sobieski a Cracovia.
Se ne riparla ora, perché il pretesto trovato a suo tempo per rifiutare la scultura era stata la necessità di contestualizzare l’opera, in modo che non fosse interpretata come un segnale ostile da parte dei turchi che oggi vivono a Vienna. Un’impresa evidentemente complicata, se dopo oltre dieci anni non è stata trovata una soluzione.
La svolta potrebbe essere offerta oggi dal fatto che Vienna si trova ad affrontare un analogo caso controverso: quello del monumento a Karl Lueger, il sindaco che fece di Vienna una metropoli a cavallo tra ‘800 e ‘900, ma la cui figura fu oscurata dall’antisemitismo. La città gli dedicò un monumento, quando l’antisemitismo era normalmente accettato in Austria, prima ancora dell’Anschluss al Reich. Ma oggi quel monumento è diventato scomodo e, non potendo abbatterlo, il Comune sta cercando affannosamente una soluzione di compromesso, che preservi la scultura, ma ne prenda le distanze.
Sembra la quadratura del cerchio. Ma se la soluzione impossibile sarà trovata per Lueger, la stessa potrebbe andar bene anche per il monumento al liberatore di Vienna.

NELLA FOTO, la città di Vienna, dall’alto del Kahlenberg, e il monumento a Jan Sobieski dello scultore Piotr Zapart, provvisoriamente collocato a Cracovia.

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