L’Austria, volente o nolente, ha finalmente aperto i confini con l’Italia, ma continua a chiudere la porta a ogni ipotesi di intervento finanziario dell’Europa a sostegno della nostra sgangherata economia. Non più di tre giorni fa Gernot Blümel, ministro delle Finanze e braccio destro del cancelliere Sebastian Kurz, in occasione del primo Ecofin (vertice dei ministri delle Finanze dell’Ue) ha ribadito il no dell’Austria all’erogazione di finanziamenti a fondo perduto al nostro Paese. “Il pacchetto complessivo – ha detto Blümel – non è accettabile per noi in termini di volume, ma anche in termini di contenuto”. Niente regalie all’Italia, soltanto prestiti condizionati dall’introduzione di riforme. Così la pensano anche Olanda, Danimarca e Svezia, che con l’Austria formano il quartetto dei cosiddetti “Paesi frugali”.
Quando attribuiamo questo atteggiamento all’Austria lo facciamo per esigenze di semplificazione. In realtà – come abbiamo osservato altre volte in questo blog – questa non è la posizione dell’intero Paese. In Austria non è nemmeno la posizione dell’intero governo (i Verdi la pensano diversamente) e neppure dell’intero Partito popolare (Övp), che guida quel governo e di cui fanno parti sia Kurz che Blümel.
Othmar Karas, per esempio – che non è l’ultimo degli arrivati all’Övp, è capo della delegazione del partito all’Europarlamento e vicepresidente di quell’assemblea – la pensa in maniera diametralmente opposta: l’Italia va sostenuta. Identica la posizione dei socialdemocratici, che però stanno all’opposizione. L’atteggiamento di solidarietà nei nostri confronti del Capo dello Stato, Alexander Van der Bellen, è nota da tempo e fuori discussione.
Ma è solo una questione di solidarietà, nel nome degli ideali europei? No, vi sono anche motivazioni economiche e politiche. Ce lo spiega l’economista Oliver Picek (nella foto), studioso di macroeconomia europea e membro del think tank Momentum Institut, di cui proprio ieri il quotidiano “Kleine Zeitung” ha ospitato un interessante intervento dal titolo “Con tutti contro tutti non vince nessuno”.
Il tema affrontato è proprio quello dello strumento finanziario comune proposto a livello europeo per affrontare la crisi dovuta alla pandemia, che incontra l’opposizione dell’Austria e degli altri “Paesi frugali”, che Picek preferisce definire invece “i quattro spilorci”. “Questa posizione – scrive l’economista – è politicamente sbagliata, perché, se applicata, condurrebbe alla lacerazione dell’Europa. Ma è sbagliata anche dal punto di vista economico. In primo luogo, perché l’economia europea è strettamente intrecciata. Noi non andiamo meglio se all’Italia, che è il nostro secondo più importante partner commerciale, va male.
In secondo luogo, il debito di cui il Sud viene incolpato: non sono stati fatti bene i “compiti a casa” e si è risparmiato troppo poco. Che questa accusa non corrisponda al vero (l’Italia dal 2011 ha un saldo positivo dei suoi bilanci, se si tolgono gli interessi sul debito preesistente) è il minimo dei problemi. Secondo Picek conta di più il fatto che le politiche di austerità seguite alla crisi finanziaria ed economica – che Kurz e soci vorrebbero continuare a imporci – hanno acuito i problemi, anziché contribuire alla crescita e all’occupazione.
In terzo luogo, da tutto questo emerge un errore strutturale dell’eurozona, nella quale c’è, è vero, una comune politica monetaria, cui non corrisponde però una comune politica economica e fiscale. Ciò comporta che l’euro rappresenta un ceppo eccessivo ai piedi dell’Italia. Rende le sue esportazioni più care e le sue importazioni più a buon prezzo. Le economie orientate all’esportazione, come quella tedesca, beneficiano invece dell’unione monetaria.
L’ultima considerazione di Oliver Picek è per il cancelliere del suo Paese. A differenza di Kurz – scrive – il governo tedesco lo ha capito: chi esporta ha bisogno di qualcuno che compri. Non possiamo essere tutti campioni del mondo delle esportazioni. Ciò di cui abbiamo bisogno è una coordinata politica economica europea basata sui fatti. I cliché dello “Stato fannullone del sud”, perciò, dovrebbero finire con la naftalina nel baule della storia.
Picek ritiene che Kurz non abbia capito questo semplice ragionamento. Ma il giovane “Basti” non è uno stupido, come dimostra il successo strabiliante della sua fulminea carriera. È molto più probabile che lo abbia capito, ma persegua lo stesso la linea rigorista, perché molto più popolare tra i suoi elettori. In questo senso si può affermare che il cancelliere dell’Övp non sia meno “populista” dei suoi alleati di estrema destra nel suo precedente governo. È una scelta cinica che non aiuta l’Italia, ma non giova nemmeno all’Austria. Serve a raccogliere voti e a navigare in testa ai sondaggi, ma il risultato potrebbe essere la crisi di molte aziende austriache e soprattutto carinziane, che vivono dei rapporti commerciali con l’Italia, se non addirittura lo sfascio dell’Europa.
L’immagine di un Kurz, che sta segando il ramo dell’albero su cui è appollaiato, rende bene l’idea.
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